Tre sonetti di Giovanni Quirini
(ca. 1285-1333)

"Un bel sperar"
n questo sonetto (76), Giovanni Quirini – "l'amico veneziano di Dante" (Folena) – intreccia riferimenti mitologici e temi stilnovistici per esprimere l'elevazione spirituale derivante dalla contemplazione dell'amata.
Si riunisce qui l'astronomia poetica alla spiritualità amorosa e all'elevazione intellettuale: l'amata è figura celeste, nuova costellazione, stella-guida che orienta l'animo del poeta. Il linguaggio fonde riferimenti classici (Callisto, Giove, Saturno) con una visione interiore che riflette i modelli dello stilnovismo, ma anche una vena personale di straordinaria limpidezza.
- Il componimento si apre con un paragone mitologico:
la bellezza dell'amata supera quella di Elice (la ninfa Callisto), trasformata in costellazione dell'Orsa Maggiore da Giove. La "nova orsa" del poeta è una figura nuova e superiore, che lo distoglie da ogni altra donna – il centro gravitazionale del suo amore e del suo pensiero.
- Nella seconda quartina, lo sguardo rivolto agli occhi della donna genera un "bel sperar":
la speranza diventa una forza attiva che lo spinge a servirla, e al tempo stesso lo libera da affanno e pesantezza. L'amore non è solo attrazione, ma promessa e purificazione, legata al desiderio che avvolge il cuore.
- Nelle terzine finali, il poeta si rappresenta felice e beato alla corte d'Amore:
una dimensione simbolica e affettiva dove è legato con "dolce litorte" – nastri che evocano il legame amoroso, ma anche la grazia del vincolo liberamente scelto.
Amore si fa qui figura divina: egli stesso promette protezione, evocando il gesto di Giove che incatenò Saturno (il "padre negro") nel Tartaro, come narra la mitologia.
Allo stesso modo, il poeta si sente sollevato oltre ogni timore e liberato da ogni forza oscura.
- Il sonetto riflette l'influenza dello stilnovismo toscano, in particolare della linea cavalcantiana:
la donna è principio di trasformazione interiore, lo sguardo è veicolo di elevazione, e l'amore stesso si manifesta come forza spirituale, razionale e quasi cosmica.
- Siamo qui davanti a una lirica in cui si fondono cosmologia, mito, filosofia amorosa e introspezione etica.
La padronanza simbolica, la ricchezza dei riferimenti, la musicalità composta e il tono limpido fanno di questo testo uno dei vertici della poesia veneto-trecentesca.
Non è solo un omaggio alla donna amata, ma un atto di orientamento interiore, un atto cosmico e morale.

Non ebbe il viso di belleze folto
colei che intorno al polo fa sua corsa
come à d'ogni piacer questa nova orsa,
per cui da ciascuna altra io sum dessolto.
Io ò delgi ochi suoi guardando arcolto
un bel sperar, che al suo servir me adorsa
e di affanno e d'incargo mi distorsa
cum quel disio che me à il cor involto,
onde beatamente sí me alegro
e vivo assai contento ne la corte
d'Amor, legato cum dolce litorte,
lo qual promette e par che me conforte
ch'el terrà il dio che fece il padre negro
là sú, sí che da tema mi disnegro.
📚 Qualche nota interpretativa
- "di belleze folto": 'fornito di abbondanti bellezze'.
- "nova orsa": è la donna amata, figura che sostituisce l'antica Orsa (Callisto) come centro del cielo personale del poeta. "Nova" indica sia la novità assoluta del sentimento, sia la superiorità rispetto al mito.
- "sum dessolto": 'sono distolto'.
- "Io ò delgi ochi suoi ... arcolto: 'dagli occhi suoi, guardando, ho colto'.
- "un bel sperar ... mi distorsa": 'una dolce promessa, che a servirla mi comanda e da affanni e tormenti mi rimanda'.
- "cum quel disio ... involto": 'con quella gioia che m'ha il cuore avvolto'.
- "la corte d'Amor": eco cortese e insieme spirituale. Non è solo luogo mondano, ma uno spazio mentale ed etico, in cui l'Amore regna come principio superiore.
- "legato cum dolce litorte": i nastri intrecciati (variante per dissimilazione di "ritorte") sono simbolo del legame d'amore: non catene, ma ornamenti. Ricordano il vincolo scelto, soave e duraturo.
- "fece il padre negro": perifrasi mitologica complessa. Il dio che "fece il padre negro" è Giove, che imprigionò Saturno (il padre oscuro, associato al tempo e alla malinconia) nel Tartaro. L'atto si carica di valore simbolico: l'Amore protegge il poeta dalla negatività esistenziale.
- "mi disnegro": neologismo straordinario, forse unico: mi dis-angoscio. Indica liberazione dal nero, dalla paura, dall'ombra interiore. È l'esito luminoso di tutto il percorso: l'amore eleva, rischiara, purifica.
* * *

"Amor chi la pinge e figura"
Questo sonetto (77) è uno dei vertici della poesia di Giovanni Quirini per limpidezza lirica e profondità concettuale, e una delle più alte espressioni della spiritualità amorosa nel solco stilnovistico.
L'autore muove da una contemplazione visiva dell'amata per giungere a un'esperienza interiore e intellettuale che culmina in una visione abbagliante, non più afferrabile dalla mente razionale.
La donna, mirata nel suo dolce aspetto, si fa immagine visibile della perfezione naturale e morale, e l'amore, lungi dall'essere passione mondana, diventa forza che nobilita, consola, eleva.
L'impianto è stilnovistico, ma con accenti personali di grande dolcezza e lucidità. La lirica risente profondamente della lezione di Guido Cavalcanti e di Dante, al punto da echeggiare versi della Vita Nova, del Convivio e di componimenti di Cino da Pistoia.
- Il sonetto si apre con la contemplazione del volto della donna amata:
un "dolce aspetto" che racchiude "quanto di bello possa far natura" – formula topica, ma espressa con autenticità. L'anastrofe iniziale e la triplice anafora "io veggio" guidano una progressione dello sguardo: dalla bellezza visibile alla pietà interiore, fino all'elevazione spirituale.
- Nella seconda quartina, l'amore non è solo passione o turbamento, ma conforto, guida morale, forza liberatrice:
la "pietà" della donna non è compassione, ma virtù incarnata, che consola il poeta, lo rafforza nel servizio amoroso e allontana ogni viltà, ogni paura, ogni pensiero vano (ossia non riferito all'amore).
La donna, dunque, educa e purifica l'intelletto del poeta.
- Nelle terzine finali, nasce nel poeta uno "spiritel", uno spirito sottile e raziocinante:
è un'intelligenza interiore, una sorta di pensiero d'amore personificato (come già in Dante e Cavalcanti), che "ragiona dell'esser suo", cioè dell'essenza della donna, in termini così elevati da risultare incomprensibili.
Il paragone conclusivo è potente: come gli occhi si abbagliano di fronte al sole, così il cuore del poeta resta offuscato davanti alla perfezione morale e spirituale della donna, descritta come "la corona di gratie e de virtú che è in sua persona".
- Il sonetto riflette l'influenza dello stilnovismo più alto:
la donna è immagine di perfezione naturale e veicolo di salvezza spirituale. Il cuore del poeta si purifica nella contemplazione; la ragione si arresta davanti al mistero del bene; l'amore è insieme desiderio, intelletto, etica e luce.
- Siamo qui davanti a una lirica che sublima l'amore in conoscenza imperfetta ma esaltante.
La donna, come nel Convivio, è "figura" di una realtà più alta: il bene, l'ordine cosmico, la virtù. Ma non può essere compresa: solo contemplata, come il sole da occhi mortali.

Io veggio di costei nel dolce aspetto
quanto di bello possa far natura;
io veggio Amor chi la pinge e figura,
cum studio di piacere e di dilecto;
io veggio la pietà che me, suggetto
a ben servir, conforta et asicura
e scacia ogni viltà, ogni paura
et ogni van pensier del mio inteletto;
e surge un spiritel che mi raggiona
dell'esser suo sí altamente, ch'io
nol so comprender secondo 'l disio,
ma come gli ochi al sol, cossí el cor mio
se abaglia contempiando la corona
di gratie e de virtú che è in sua persona.
📚 Qualche nota interpretativa
- "Io veggio…": triplice anafora che scandisce la progressione dello sguardo; riprende Cavalcanti e Dante.
- "la pinge e figura": Amore diventa artefice, che "dipinge" e "forma" la donna.
- "studio di piacere e di dilecto": Amore agisce con intenzione e diletto, impegnandosi a comporre nella donna ogni possibile bellezza.
- "pietà": incarnazione visibile della virtù salvifica; la donna assicura e conforta, esortando il poeta al servizio amoroso.
- "spiritel che mi raggiona": spirito d'Amore che nasce nella mente e parla dell'essenza della donna; fortemente cavalcantiano e dantesco.
- "nol so comprender secondo 'l disio": come spesso in Dante e Cavalcanti, il pensiero amoroso si eleva oltre le capacità razionali; resta il desiderio, ma l'intelletto si arresta.
- "come gli ochi al sol…": similitudine conclusiva di grande forza; l'intelletto abbagliato dal bene; la contemplazione amorosa è visione che purifica ma anche sconcerta.
- "la corona di gratie e de virtú": simbolo delle virtù interiori rese visibili; metafora morale e mistica, ma qui concentrata in una visione luminosa e personale.
✦ Traduzione poetica moderna
Io vedo, nel suo dolce e chiaro aspetto, /
quanto di bello crea la madre antica;
/ vedo Amor che la forma e la dipinge /
con studio puro, intento a farla amica. /
Vedo pietà che il cuore mio conforta /
e mi rafforza nel servirla ancora, /
scacciando ogni viltà, ogni paura /
ogni vano pensier che non la onora. /
Dentro di me nasce un sottile spiro /
che mi ragiona dell'alto suo valore, /
ma non lo colgo appieno nel desiro, /
e come sguardo al sole si confonde /
così a mirarla perdesi il mio cuore, /
abbagliato al suo serto di splendore.
* * *

"Di fe', speranza e carità"
Questo sonetto (84) è uno degli esempi più significativi della fusione fra mistica cristiana e lirica stilnovistica.
In esso, la donna è rappresentata come incarnazione visibile delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità.
Queste qualità, che adornano il suo cuore, si riflettono nell'aspetto esteriore tramite una corrispondenza cromatica: bianco, verde e vermiglio, come già in Dante (Purgatorio XXIX–XXX).
La bellezza fisica diventa qui espressione e simbolo di una perfezione interiore, e l'effetto prodotto è una sorta di sacra attrazione morale.
- Il componimento si apre con una corrispondenza perfetta tra l'interiorità e l'esteriorità della donna:
il cuore si adorna delle tre virtù, e l'aspetto esterno "luce e resplende" di tre colori.
La luce che emana dalla donna è rifrazione morale, non semplice bellezza: tanto che Amore stesso vi trova dimora, come Signore che "volentier sogiorna" in un luogo nobile.
- La seconda quartina insiste sulla dimensione simbolica e spirituale della figura femminile:
le virtù diventano "fiori" profumati, capaci di emanare una soavità che attira e trasforma chi guarda.
L'espressione "ogni huon si voglie e torna" indica un moto interiore e fisico: ammirando, ogni uomo è portato a volgersi verso di lei.
L'attrazione della donna è dolce e irresistibile, perché nasce dalla virtù, non dal desiderio.
- Nelle terzine finali, il poeta esplicita il valore simbolico dei colori:
il bianco e il rosso del viso rappresentano la fede e la carità, mentre la veste verde raffigura la speranza.
Questa triade cromatica, di evidente ascendenza dantesca, è interpretata come segno di "mercede" – ricompensa – per chi ama fedelmente.
La donna non solo ispira amore, ma promette anche una forma di salvezza morale, visibile attraverso i segni del corpo e dell'abbigliamento.
- Il sonetto si muove tra allegoria e realismo figurativo:
i colori e i profumi, i fiori e la luce, tutto concorre a costruire un'immagine di armonia perfetta tra virtù invisibili e segni sensibili.
In questo senso, la donna diventa epifania del bene, come in Dante e nei migliori stilnovisti.

Come di tre vertú dentro se adorna
il cor di lei, cossí di tre colori
luce e respiende l'aspetto di fuori,
dove 'l signor piú volentier sogiorna.
Di fe', speranza e carità s'intorna
e s'incorona; di cotal tre fiori
le vien soavità de molti odori,
a che admirando ogni huon si voglie e torna.
Vermiglio e bianco li fan bel il viso,
li quai dessignan carità cum fede,
e veste verde, in che speranza sede;
ond'el si nota che di sua mercede
puote sperar, secondo il mio aviso,
qual fedelmente nel suo amore è miso.
📚 Qualche nota interpretativa
- "Come di tre vertú dentro se adorna": le tre virtù teologali (fede, speranza, carità) sono interiorizzate dalla donna, che le incarna in pienezza.
- "luce e respiende": formula che riecheggia Cino da Pistoia e Dante (Convivio, IV, XXIII, 2). La luce è manifestazione morale della perfezione interiore.
- "'l signor più volentier sogiorna": il Signore è Amore stesso, che risiede dove trova virtù – chiaro rimando a Paradiso XXXI,12 ("là dove 'l suo amor sempre soggiorna").
- "s'intorna e s'incorona": allitterazione che sottolinea l'azione circolare e regale delle virtù: la donna è circondata e incoronata da queste.
- "fiori ... odori": l'immagine delle virtù come fiori profumati richiama Purgatorio VII,80 ("soavità di mille odori"); è una metafora sinestetica che unisce vista e olfatto.
- "si voglie e torna": locuzione poetica che indica moto d'animo e attrazione profonda; la costruzione è di matrice provenzale/gallica.
- "vermiglio e bianco ... verde": corrispondenza cromatica alle tre virtù teologali, come in Dante (Purgatorio XXIX–XXX): rosso per la carità, bianco per la fede, verde per la speranza.
- "di sua mercede puote sperar": chi ama sinceramente può legittimamente sperare in una ricompensa spirituale. "Mercede" va inteso come dono morale, non solo affettivo.
- "è miso": 'è posto', 'si trova'; formula arcaica per 'è dedito', 'rimane' nel servizio amoroso. [iv-2025]
Bibliografia essenziale
- Quirini, Giovanni. Rime. Edizione critica con commento a cura di Elena Maria Duso. Editrice Antenore, 2002.
- Barbi, Michele e Pernicone, Vincenzo. "Sulla corrispondenza poetica fra Dante e Giovanni Quirini". Studi danteschi, vol. XXV, 1940.
- Croce, Benedetto. Poesia popolare e poesia d'arte: Studi sulla poesia italiana dal Tre al Cinquecento. Laterza, 1933.
- Folena, Gianfranco. Sonetti inediti di Giovanni Quirini, l'amico veneziano di Dante. I Libretti di Mal'aria, 1978.