
n'altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa dell'«onestà» nella vita politica. L'ideale che canta nell'anima di tutti gl'imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta d'areopago, composto di onest'uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. ✪ «La politica è cosa sudicia»: ecco un detto che s'ode di frequente sulle labbra della gente. E nasce la curiosità di cercare perché mai solo alla politica, che pure è un'attività fondamentale dell'uomo, una forma perpetua dello spirito umano, tocchi l'omaggio di quel detto poco rispettoso, che non si ripete per nessun'altra forma di attività, né per quella della vita sociale e morale, né per la scienza, né per l'arte. ✦
La meditazione crociana sull'azione politica assume, nei due frammenti che seguono, il suo consueto profilo: smontare gli automatismi morali del "volgo" (le idee ricevute, i luoghi comuni) mostrando che la politica, come ogni attività spirituale concreta, non coincide con l'"edificazione" o con l'angelismo (ovverosia, con l'evasione dalla realtà umana e razionale verso un mondo visionario e allucinato), bensì con una tecnica dell'agire orientata alla conservazione e promozione della vita civile.
Due i bersagli: 1) l'idea che la politica richieda primariamente "onestà" in senso morale-privato, e 2) la posa moralistica che, nauseata dalla politica, pretende di condannarla come "cosa sudicia". In entrambi i casi, Croce mira a ripristinare la categoria adatta: la capacità politica (non l'innocenza privata), e il riconoscimento della lotta come condizione ineliminabile della vita storica. È la stessa linea di convergenza tra Croce e Machiavelli rilevata nel discorso sui "risanatori del mondo".
Nel frammento "L'onestà politica", tratto dalla raccolta Etica e politica, Benedetto Croce (1866–1952) mette in scena una delle sue riflessioni più penetranti e attuali sull'etica pubblica, smascherando l'ipocrisia insita nelle richieste moralistiche del "volgo" e rilanciando una visione più profonda e operativa dell'impegno politico. Croce, filosofo dello spirito, maestro del liberalismo italiano, non si limita qui a criticare: come spesso accade nella sua prosa, alla pars destruens segue una più difficile ma necessaria pars construens. Il suo pensiero si muove con una chiarezza e una severità logica che non ammettono scorciatoie, e che interrogano ancora oggi la nostra idea di cittadinanza, competenza e moralità pubblica.
Sulla scia di Machiavelli, Croce rifiuta la confusione tra etica privata e virtù politica, smontando il mito dell'"onesto uomo" al potere e difendendo con lucidità il valore dell'azione politica come sfera autonoma, legata non alla bontà d'animo ma alla capacità concreta e responsabile di operare nella complessità del reale.
Un'altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa dell'«onestà» nella vita politica.
L'ideale che canta nell'anima di tutti gl'imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta d'areopago, composto di onest'uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l'abilità in qualche ramo dell'attività umana, che non sia per altro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l'onestà e la competenza, come si dice, tecnica.
📌 Potremmo dire trattarsi qui della sempiterna lotta di Benedetto Croce contro le "idee ricevute" (idées reçues, espressione che risale almeno a Flaubert e al suo Dizionario delle idee ricevute), con cui intendiamo alludere a quelle convinzioni collettive che la società accetta e ripete senza più verificarne il senso, come formule automatiche del pensiero morale o politico.
Le idee ricevute sono le opinioni "ereditate" e non pensate, i luoghi comuni interiorizzati al punto da sembrare verità evidenti, ma che in realtà agiscono come dogmi inconsci del senso comune.
Nel contesto della analisi crociana, esse rappresentano la superficie morale del "volgo", che confonde la bontà con la competenza, la purezza con la capacità, la pace con la giustizia; sono, per così dire, le formule morali prefabbricate che egli mira a scardinare: "l'onestà come requisito tecnico del politico", "la politica come attività sudicia", "il buon cittadino come misura del buon governo".
Croce, al pari di Flaubert e di Nietzsche, diffida delle idee ricevute perché impediscono il pensiero vivo. Là dove il pensiero riflette, il luogo comune ripete; là dove il giudizio distingue, l'idea ricevuta livella.
Perciò, la sua meditazione sull'azione politica parte proprio da qui: liberare l'argomentazione morale dai riflessi condizionati del senso comune, sostituendo alla ripetizione l'atto consapevole, cioè quella "tecnica dell'agire" che "promuove la vita civile".
Le idee ricevute non sono altro che la grammatica morta del pensiero morale; Croce cerca invece la sintassi viva dell'agire.
Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato quell'ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt'al piú, qualche volta, episodicamente, ha per breve tempo fatto salire al potere un quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati, aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, d'inettitudine.
È strano (cioè, non è strano, quando si tengano presenti le spiegazioni psicologiche offerte di sopra) che, laddove nessuno, quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica, chiede un onest'uomo, e neppure un onest'uomo filosofo o scienziato, ma tutti chiedono e cercano e si procurano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina e chirurgia, forniti di occhio clinico e di abilità operatoria, nelle cose della politica si chiedano, invece, non uomini politici, ma onest'uomini, forniti tutt'al piú di attitudini d'altra natura.
🔎 Non chiediamo "onesti uomini", ma uomini politici
L'argomento per analogia è tagliente: nella sfera medica chiediamo competenza, non "moralità". Perché in politica dovrebbe valere l'opposto? L'"onestà politica" coincide con la capacità politica, come l'onestà del chirurgo è la sua capacità di operare senza "assassinare la gente". Nessuno si farebbe operare da un "onesto chirurgo" che non sapesse operare. Eppure, in politica, questa pretesa assurda sembra diffusa e perfino applaudita. Alla moralistica categoria della purezza va invece sostituita la categoria dell'idoneità.
Oltretutto, nessuna esperienza storica ha mai realizzato quell'ideale degli "onesti tecnici al governo", e quando anche ciò sia avvenuto, solo episodicamente, la loro presunta "onestà" ha lasciato alla fine spazio a giudizi di "inettitudine", e i risultati sono stati disastrosi.
🧭 La politica non tollera incompetenza, e l'onestà senza capacità è una forma di pericolo pubblico. La competenza è la vera onestà dell'uomo politico, così come è la vera virtù del medico.
«Ma che cosa è, dunque, l'onestà politica?» – si domanderà. – L'onestà politica non è altro che la сараcità politica: come l'onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze.
«È questo soltanto? e non dovrà essere egli uomo, per ogni rispetto, incensurabile e stimabile? e la politica potrà essere esercitata da uomini in altri riguardi poco pregevoli?». Obiezione volgare, di quel tale volgo, descritto di sopra. Perché è evidente che le pecche che possa eventualmente avere un uomo fornito di capacità e genio politico, se concernono altre sfere di attività, lo renderanno improprio in quelle sfere, ma non già nella politica. Colà lo condanneremo scienziato ignorante, uomo vizioso, cattivo marito, cattivo padre, e simili; al modo stesso che censuriamo, in un poeta giocatore e dissoluto e adultero, il giocatore, il dissoluto e l'adultero, ma non la sua poesia, che è la parte pura della sua anima, e quella in cui di volta in volta si redime. Si narra del Fox, dedito alla crapula e alle dissolutezze, che, poi che fu venuto in fama e grandezza di oratore parlamentare e di capopartito, tentò di mettere regola nella sua vita privata, di diventar morigerato, di astenersi dal frequentare cattivi luoghi; ed ecco che sentí illanguidirsi la vena, infiacchirsi l'energia lottatrice, e non ritrovò quelle forze se non quando tornò alle sue consuetudini. Che cosa farci? Deplorare, tutt'al piú, una cosí infelice costituzione fisiologica e psicologica, che per operare aveva bisogno di quegli eccitanti o di quegli sfoghi; ma con questo non si è detto nulla contro l'opera politica che il Fox compié, e, se egli giovò al suo paese, l'Inghilterra ben gli fece largo nella politica, quantunque i padri di famiglia con pari prudenza gli avrebbero dovuto negare le loro figliuole in ispose.
🔎 L'onestà come capacità
A questo punto, Croce arriva al cuore della sua tesi: l'onestà politica è la capacità politica. Il paragone con il chirurgo diventa paradigma della sua filosofia dell'agire: non è l'intenzione ma il risultato a qualificare moralmente l'azione pubblica. Qui Croce mostra la coerenza del suo idealismo attivo, che privilegia l'efficacia e la realizzazione concreta. L'obiezione secondo cui il politico dovrebbe essere "incensurabile in ogni rispetto" è bollata come "obiezione volgare". In realtà, le mancanze morali in ambiti estranei alla politica non inficiano necessariamente la sua opera pubblica. La figura di C.J. Fox incarna perfettamente questo concetto: dissoluto nella vita privata, fu capace di contribuire efficacemente alla vita parlamentare inglese.
🧭 La politica, per Croce, è una vocazione autonoma con regole proprie: la moralità si misura nella competenza nell'agire politico, non nella perfezione privata dell'individuo. E la storia conferma che i grandi politici non sono sempre "esempi di virtù" nell'accezione moralistica.
👉 Il politico di cui parla Croce è Charles James Fox (1749–1806), importante statista britannico vissuto nella seconda metà del Settecento, descritto come "dedito alla crapula e alle dissolutezze", ma al contempo politico capace e influente.
Nonostante le sue debolezze morali e dissolutezze, Fox riuscì a compiere un'importante opera politica con la stipula del trattato del 1783 che riconosceva l'indipendenza delle colonie americane.
Croce ammette questa contraddizione e ritiene che tale disarmonia tra vita politica e vita privata non debba comunque prolungarsi troppo, poiché la cattiva reputazione che ne deriva può essere usata come arma dagli avversari politici.
Tuttavia, sottolinea quanto Fox fosse stato ad ogni modo di grande beneficio per il suo Paese, anche se moralmente da sconsigliare per l'accasamento di ragazze di buona famiglia.
«Ma no (si continuerà obiettando), noi non ci diamo pensiero solo di ciò, ossia della vita privata; ma di quella disonestà privata che corrompe la stessa opera politica, e fa che un uomo politicamente abile tradisca il suo partito o la sua patria; e per questo richiediamo che egli sia anche privatamente, ossia integralmente, onesto».
– Senonché non si riflette che un uomo dotato di genio o capacità politica si lascia corrompere in ogni altra cosa, ma non in quella, perché in quella è la sua passione, il suo amore, la sua gloria, il fine sostanziale della sua vita. Allo stesso modo che il poeta, per vizioso e dissoluto che sia, se è poeta, transigerà su tutto ma non sulla sua poesia, e non si acconcerà a scrivere brutti versi. Il Mirabeau prendeva bensí danaro dalla corte, ma, servendosi del danaro pei suoi bisogni particolari, si serviva della corte, e insieme dell'Assemblea nazionale, per cercar di attuare in Francia la sua idea di una monarchia costituzionale di tipo inglese, di uno Stato non assolutistico e non demagogico. Vero è che questa disarmonia tra vita propriamente politica e la restante vita pratica non può spingersi tropp'oltre, perché, se non altro, la cattiva reputazione, prodotta dalla seconda, rioperando sulla prima, le frappone poi ostacoli, come il Mirabeau stesso, sospirando, confessava, o l'ipocrisia morale degli avversarî può valersene da arma avvelenata, come nel caso del Parnell. Ma questo è un altro discorso.
🔎 Il confine tra passione e corruzione
Obiezione e risposta: "Ma non deve, l'uomo politico, essere integerrimo anche in privato?".
Croce rigira l'obiezione: nessuna indulgenza etica; semplicemente, giudizi differenti per compiti differenti. Un uomo può essere pessimo marito e ottimo statista, come un grande poeta può essere "dissoluto" senza che questo spieghi la sua poesia (finché scrive poesia vera). Il discrimine non è la condotta privata, ma l'attitudine sostanziale all'opera.
Croce accetta e affronta un'obiezione più raffinata: quando la disonestà privata interferisce con l'azione politica stessa? La risposta è tanto netta quanto sottile: se un uomo è dotato davvero di genio politico, difficilmente potrà corrompersi in quella sfera che è la sua passione e la sua arte. Gli esempi di Mirabeau e Parnell confortano questa affermazione: il primo, pur ricevendo denaro dalla corte, perseguiva una visione di Stato costituzionale; il secondo fu rovinato dalla sua vita privata per motivi più legati all'ipocrisia dei suoi avversari che alla propria azione politica. Croce ammette che la disarmonia fra vita pubblica e privata può ritorcersi contro il politico, ma questo è "un altro discorso": riguarda la percezione e non la sostanza dell'azione.
🧭 La capacità politica può convivere con difetti morali purché l'azione politica resti pura e coerente. Croce accenna anche alla funzione redentrice dell'opera pubblica rispetto alle imperfezioni umane.
👉 Croce cita Honoré Gabriel Riqueti, conte di Mirabeau (1749–1791), una figura centrale della prima fase della Rivoluzione francese, noto per la sua eloquenza, il suo pensiero riformista e... le sue ambiguità.
Da un lato, Mirabeau era un ideatore e promotore convinto di una monarchia costituzionale, ispirata al modello inglese: una forma di governo in cui la sovranità del re fosse limitata da un'Assemblea rappresentativa. Dall'altro lato, però, riceveva fondi segreti dalla corte di Luigi XVI, cioè dal nemico apparente della rivoluzione. Questi fondi non erano legati a un tradimento, bensì – secondo lui – a un piano per orientare la monarchia in senso riformatore.
Croce, da storico e filosofo maturo, non si scandalizza di questa contraddizione apparente. Anzi, la usa per distinguere tra moralità privata e responsabilità politica, mettendo in luce come l'azione politica si svolga in una sfera autonoma, dove i criteri non coincidono con quelli della morale borghese o religiosa.
Mirabeau accettava denaro dalla monarchia per ragioni personali, ma non si metteva al suo servizio in modo remissivo o cieco. Al contrario: si serviva della monarchia, così come si serviva dei rivoluzionari dell'Assemblea, per portare avanti un suo disegno politico autonomo: uno Stato riformato, costituzionale, lontano sia dal dispotismo monarchico che dall'estremismo rivoluzionario.
È un chiaro esempio di uso politico degli strumenti a disposizione, indipendentemente dalla loro origine.
Qui Croce fa un'importante precisazione, parlando della "disarmonia" tra l'efficacia dell'azione politica e la condotta privata del politico. Anche se un politico è abile e dotato di visione, una vita privata scandalosa può ritorcersi contro di lui, in due modi:
Allora Croce giustifica la corruzione in politica? No, non giustifica la corruzione né l'immoralità, ma rifiuta l'equazione semplicistica: immoralità privata = disonestà politica.
Per Croce (come per Machiavelli):
Mirabeau è, per Croce, l'esempio ideale: imperfetto nella vita personale, ma dotato di grande visione e capacità politica. La sua fine prematura e l'ostilità che subì derivano non da errori politici, ma dalla contraddizione tra la sua immagine e la sua funzione, contraddizione sfruttata dai suoi nemici.
👉 Charles Stewart Parnell (1846–1891), pure citato da Croce in un ragionamento etico analogo a quello su C.J. Fox e su Mirabeau, fu un importante politico irlandese della fine del XIX secolo, noto per la sua lotta per l'autonomia dell'Irlanda con la cosiddetta "Home Rule". Appartenente alla classe dei possidenti terrieri protestanti, Parnell diventò leader del movimento nazionalista irlandese che reclamava l'autogoverno dall'Inghilterra, ma la sua carriera politica fu segnata, oltre che da grandi successi, anche da scandali personali che finirono per comprometterne la reputazione pubblica e la popolarità.
«E se, nonostante l'impulso del suo genio, nonostante l'amore per la propria arte, soggiacerà ai suoi cattivi istinti e farà cattiva politica?». Allora, il presente discorso è finito, perché siamo rientrati nel caso in cui la disonestà coincide con la cattiva politica, con l'incapacità politica, da qualunque lontano motivo sia prodotta, virtuoso o vizioso, e in qualunque forma si presenti, cioè come incapacità abitudinaria e connaturata, o incapacità intermittente e accidentale. Può altresí il poeta geniale, talvolta, per compiacenza o a prezzo, comporre versi senza ispirazione e adulatorî; senonché, in quel caso, non è piú poeta.
* (Benedetto Croce. XXXVII - L'onestà politica. In: Etica e politica. Laterza, 1956, p. 167-70).🔎 Il fallimento del politico e la perdita della poesia
Croce chiude il suo ragionamento con un'affermazione stringente: se un uomo "fa cattiva politica", allora è semplicemente incapace, e dunque disonesto in senso politico. La corruzione morale diventa rilevante solo quando si traduce in incapacità politica. Anche il poeta, se scrive versi insinceri o mercenari, non è più poeta: ha tradito la propria arte. Così, il politico che cede ai propri vizi perdendo lucidità e visione diventa altro da sé: un incompetente, e perciò un disonesto.
🧭 L'onestà politica è inseparabile dalla coerenza tra vocazione e azione: non si dà politica senza passione per la politica. E non si dà etica pubblica senza responsabilità operativa.
📌 In questo breve ma densissimo scritto, Croce smonta con rigore la retorica populista dell'onestà come valore assoluto e propone una definizione alternativa, più concreta e insieme più esigente: l'onestà in politica è capacità, è rispetto della funzione, è fedeltà all'opera pubblica.
Si avverte, nel suo pensiero, la presenza di Machiavelli, con cui condivide la concezione tragica e realistica della politica: non come esercizio di virtù privata, ma come arte autonoma, al servizio del bene comune, che esige competenza, determinazione e visione.
Il linguaggio crociano svetta per precisione, lucidità e sarcasmo polemico, ma sotto la scorza severa si coglie un invito profondo: a superare l'ipocrisia e l'inerzia morale, per impegnarsi con serietà e realismo nella cosa pubblica, accettandone con consapevolezza e coraggio le sfide e le contraddizioni.
Nel frammento "La nausea per la politica", anch'esso contenuto nella raccolta Etica e politica, Benedetto Croce affronta con lucidità disarmante uno dei sentimenti più diffusi e ambigui della modernità: il disgusto, la ripulsa, il fastidio che l'opinione comune riserva all'attività politica. Con la consueta acutezza filosofica e la profondità morale che ne segnano lo stile, egli non si limita a denunciare l'atteggiamento passivo e ipocrita del "volgo", ma indaga anche la crisi degli uomini politici, schiacciati tra l'incomprensione del popolo e la propria incapacità di pensare eticamente l'azione. Il testo si muove, come spesso accade in Croce, tra la critica e la proposta, tra l'analisi e il tentativo di superamento di una contraddizione interna all'agire umano.
LA NAUSEA PER LA POLITICA*
Testo : 1/6
«La politica è cosa sudicia»: ecco un detto che s'ode di frequente sulle labbra della gente. E nasce la curiosità di cercare perché mai solo alla politica, che pure è un'attività fondamentale dell'uomo, una forma perpetua dello spirito umano, tocchi l'omaggio di quel detto poco rispettoso, che non si ripete per nessun'altra forma di attività, né per quella della vita sociale e morale, né per la scienza, né per l'arte.
🔎 Il disprezzo diffuso per la politica
Il frammento si apre con un'osservazione penetrante: la frase «la politica è cosa sudicia» è ormai parte del linguaggio comune [«La politica è cosa assai sporca», si leggeva nella prima edizione dei "Frammenti di etica" del 1922] . Eppure, si tratta di un'accusa che non viene rivolta ad altre attività umane fondamentali – né della vita sociale e morale, né dell'arte, né della scienza. Croce sottolinea così l'anomalia di questo giudizio negativo esclusivamente riservato alla sfera politica. La politica, paradossalmente, è denigrata proprio perché è la manifestazione più alta della vita associata, quella in cui l'individuo agisce nel mondo storico, trasformando e governando la realtà.
🧭 Croce inizia con un capovolgimento rivelatore: la politica, attività fondamentale dello spirito, è la sola a essere giudicata "sudicia" dalla mentalità comune. Da questa contraddizione parte la sua indagine critica sul senso di ripulsa per la politica.
LA NAUSEA PER LA POLITICA
Testo : 2/6
Conviene anzitutto riconoscere che nell'uomo c'è la cara, la dolce pigrizia: c'è in tutti, anche nei piú operosi e lottatori, almeno come rapido e fuggevole sospiro, e c'è nella massa della gente, nel volgo, come stato d'animo consueto, come brama di pace, di riposo, di tranquillità. E solo da pochi, o solo in pochi momenti, si accetta rassegnati la verità, che altro riposo non è concesso all'uomo se non nella lotta e per la lotta, nessun'altra pace se non nella guerra e per la guerra. Di qui la continua negazione, che quello stato d'animo implica, della politica: della politica che è la maggiore o la piú vistosa manifestazione della lotta umana. Alla quale si è sempre disposti a sostituire tutto ciò che, pur essendo privo di senso, ha per altro questo senso, di negare la lotta e carezzare a parole l'ideale della pigrizia: la giustizia sociale e internazionale, l'eguaglianza, la fratellanza, l'accordo tra le classi, la lega dei popoli. Ora l'azione politica – lotte di partiti, governi di partiti, imposizioni di leggi che sono vittoria per alcuni e sconfitta per altri, negoziati diplomatici, trattati di commercio, guerre di tariffe, guerre d'armi, – va direttamente contro l'ideale della pace, del riposo e della tranquillità.
🔎 La pigrizia del volgo e l'ideale della pace
Croce ricerca la radice psicologica della formula. Prima causa: la dolce pigrizia umana, ossia il bisogno di pace e quiete. La politica, forma maggiore della lotta, urta questo desiderio; da qui l'antipatia di principio. La condanna morale camuffa un fastidio per la conflittualità, non una superiore coscienza.
Il disprezzo per la politica nasce, in realtà, da una forma di pigrizia spirituale. Il "volgo" (parola che Croce adopera non con disprezzo sociale, ma con significato morale e filosofico) aspira a un'illusoria quiete, a un ideale di pace che si oppone alla natura combattiva e tragica dell'esistenza umana. La politica, essendo la forma più visibile della lotta civile – partiti, leggi, trattati, tariffe, guerre – diventa perciò il bersaglio di chi vorrebbe evitare la fatica del vivere.
🧭 L'avversione per la politica è espressione di un rifiuto esistenziale della lotta: è nostalgia della passività, non consapevolezza critica. L'ideale della pace, quando è disgiunto dalla realtà del conflitto, diventa solo una retorica della rinuncia. Da qui nascono ipocrisia e sofismi: nascondere con parole la necessità della lotta.
Ma ciò non basterebbe a spiegare quella parola di ripugnanza e ribrezzo. Bisogna aggiungere che gli uomini politici, impotenti a mutar rapidamente lo stato d'animo del volgo, sono portati ad accettarlo e ad approvarlo nelle parole e a negarlo negli atti, procurando di coprir la contradizione con sofismi, con lustre e con espedienti oratorî di varia forma. Non possono per altro coprirla sempre, e non mai possono coprirla verso tutti; e cosí accade che la gente si avveda dell'inganno, e, quando altro non le riesce di opporre, si consoli borbottando quella frase di disprezzo.
🔎 L'ipocrisia dei politici e l'inganno trasparente
La carenza filosofica dei politici (mancanza di capacità dialettica) gioca la sua parte, in quanto li rende prede del moralismo che li giudica. Invece di pensare la politica come necessità della lotta ordinata, essi la subiscono con mala coscienza. Ne deriva l'autodenigrazione professionale (il sogno del "cavolo nell'orticello").
Incapaci di educare e trasformare l'opinione comune, essi finiscono per adeguarsi al senso diffuso, con parole concilianti e azioni contraddittorie. Fingono di condannare ciò che in realtà praticano, e la dissonanza tra parole e fatti è così evidente da risultare grottesca. Quando il popolo se ne accorge, non ha altri strumenti che un generico disprezzo: la "nausea" appunto.
🧭 Alla retorica pacifista del volgo si aggiunge l'ipocrisia tattica dei politici: entrambi partecipano inconsapevolmente a un gioco che alimenta la sfiducia reciproca. L'assenza di verità nel linguaggio politico favorisce la degenerazione della comunicazione pubblica.
E accade anche altro di piú curioso: che gli stessi uomini politici, non possedendo la superiore virtú di dialettizzare e mediare e armonizzare concetti, che è propria del filosofo, siano assai spesso, in misura maggiore o minore, partecipi delle idee del volgo, per quanto vi contrastino nel fatto, guidati dal loro senso naturale. Ed essi si sentono allora come costretti a fare il male che non vorrebbero, a esercitare l'inganno quando proverebbero grande soddisfazione nel parlare a cuore aperto, a dichiarare la guerra quando abbraccerebbero la pace: cioè, sono travagliati dalla coscienza (da una coscienza, senza dubbio, fallace) di vivere contro morale o contro natura. Cosicché anch'essi ripetono talvolta, stizzosamente, la frase che è stata foggiata contro di loro; e volentieri sospirano il tempo in cui sarà loro concesso di ritirarsi procul negotiis, a coltivare cavoli in un orticello, o (quel che è forse meno innocuo) a cullarsi negli ozî letterari, coltivando le belle lettere e dilettandosi nelle cose della scienza.
🔎 Il travaglio morale dei politici sinceri
Croce introduce a questo punto una riflessione importante: anche gli uomini politici sinceramente turbati dalla distanza tra ciò che sentono e ciò che fanno, non possedendo però la "virtù dialettica" del filosofo, non riescono a conciliare i concetti in conflitto. Da qui, il senso di vivere "contro natura", la sensazione di un'esistenza falsa, il sogno della fuga in un orto epicureo o nei piaceri dello studio. Il politico, in mancanza di una visione filosofica della propria azione, resta prigioniero della dissonanza.
🧭 Senza una cultura filosofica capace di armonizzare realtà e valore, il politico sincero è esposto alla nevrosi morale. Solo la riflessione superiore può restituire senso e dignità all'agire politico.
C'è modo di uscire da questa contradizione tra il detto e il fatto, c'è modo di togliere gli scrupoli degli uomini politici e di calmare l'irritazione del volgo? Teoricamente il modo c'è, ma non ha pratica probabilità: far sí che gli uomini politici filosofino anche, e che il volgo cessi di esser volgo. Allora non sparirebbe già la lotta, neppure la piú aspra lotta, ma si stabilirebbe qualcosa di cui il costume cavalleresco, formatosi nel medioevo, fu piccolo e parziale esempio: la lotta con la coscienza della sua necessità e col rispetto dell'avversario, la lealtà nella slealtà, cioè nell'astuzia, considerata anche in politica come astuzia di guerra. O, lasciando da parte la cavalleria, s'introdurrebbe anche nella politica quel modo di pensare e di sentire che regna a un dipresso nella sfera a essa prossima della vita economica, industriale e commerciale, in cui ben si sa che les affaires sont les affaires, e il concorrente che volesse nella sua operazione economica far intervenire un atto di moralità e giustizia astratta, certamente non compirebbe niente di morale o di giusto, ma non meno certamente farebbe un cattivo affare, dannoso a sé e alla società stessa. Diciamo che questo modo non ha, almeno per ora, speranza alcuna, ricordando che un grand'uomo, il quale con spirito religioso (perché solo con spirito religioso si pensano e si dicono le nuove e aspre verità) teorizzò la reale natura della politica, Nicolò Machiavelli, fu il solo tra i grandi uomini a cui non mancò di certo, e non poteva mancare, la gloria dovuta alla grandezza della mente, ma che nondimeno ottenne una gloria come velata, e quel nome suo proprio dié origine a un nome comune, che suonò sinonimo di perfidia e nequizia.
🔎 Una possibile via d'uscita (ma teorica)
Croce qui propone – con ironia e lucidità – una soluzione solo teorica: che i politici diventino anche filosofi e il popolo cessi di essere "volgo". In tal caso, la politica non cesserebbe di essere lotta, ma sarebbe condotta con consapevolezza e rispetto per l'avversario. Croce rievoca lo spirito della cavalleria medievale e poi quello dell'etica degli affari: entrambi presuppongono una lealtà funzionale all'efficacia. Ma riconosce anche l'improbabilità di questa evoluzione culturale.
A dimostrazione di ciò, introduce l'esempio di Machiavelli: unico teorico "religioso" della politica, che pagò il prezzo di una comprensione anticipata dei tempi.
Egli teorizzò la reale natura della politica (non cinismo, ma scientifica verità del conflitto), ma l'episodio alluso (la "trasparenza" elevata a dogma) ne mostra un errore politico: esibire pubblicamente il movente reale dell'azione di Stato non redime il mondo, disarma l'azione ed eccita l'ipocrisia altrui. Perciò, si può lodare i politici che, pur senza far filosofia, sanno tacere gli arcani e operare con decoro efficace; anche se la simpatia dei filosofi andrà (forse) a chi ha tentato l'eccesso di trasparenza, pur mostrandosi politicamente poco abile.
🧭 Croce propone un'etica della politica fondata sulla coscienza del conflitto e sul rispetto della realtà, ma ammette che il pensiero filosofico resta spesso inascoltato. Machiavelli diventa così simbolo della verità negata, precursore della saggezza tragica.
E un popolo che di recente, per bocca dei suoi uomini di stato, ha procurato di svelare gli arcana imperii e di rendere trasparente e consapevole l'azione politica, è stato coperto dall'orrore morale del mondo intero, e ha perso nel modo piú solenne la guerra impegnata. Errore suo, indubbiamente, e grave errore, ma di politica e non di teoria, e che lo ha mostrato fornito di sapienza teorica superiore a quella di altri popoli, e di coraggio del vero altresí, ma sfornito di quel senso politico che invita a tener arcani gli arcana imperii, e a lusingare e illudere chi non chiede se non di essere lusingato e illuso. I tempi non erano maturi per quella elevazione scientifica dell'umanità; e, cosí stando le cose, non è lecito sparlare dell'abito di uomini politici appartenenti ad altri popoli, i quali o (come un inglese ha detto degli inglesi) sanno per lunga educazione nascondere a sé stessi il fine vero dei loro atti, o (come usano i francesi) infiorano i loro atti dei non piú olezzanti fiori della generosità, dell'umanità e della giustizia internazionale. L'effetto prova che, cosí facendo, si sono condotti bene, e a essi va la lode dei politici, laddove a quell'altro popolo può andare tutt'al piú la simpatia dei filosofi: simpatia, s'intende, non verso la loro politica, che è stata poco abile, ma verso la filosofia che, sia pure inopportunamente, vi hanno lasciata penetrare.
* (Benedetto Croce. XXXVIII - La nausea per la politica. In: Etica e politica. Laterza, 1956, p. 171-74).
🔎 Il rischio della verità: l'esempio tedesco
L'ultima parte del frammento di Croce va storicamente ricondotta alla Germania del primo dopoguerra, cioè quella della Repubblica di Weimar (1919–1933): colta, filosoficamente elevata, ma politicamente maldestra. Quella che, tentando di pensare la politica con coerenza filosofica, finisce per fallire nei fatti.
Croce si riferisce a quel momento in cui, nel tentativo di "svelare gli arcana imperii", la Germania sconfitta cerca di ripensare radicalmente il proprio ruolo politico e morale, esponendo pubblicamente – anche in sede diplomatica e culturale – le ragioni, le ambizioni e i torti subiti durante la Prima guerra mondiale. Questa trasparenza (o pretesa tale), unita al tentativo di mostrare il carattere teorico, quasi "scientifico" dell'azione politica, finisce però per scatenare non il rispetto, ma lo sdegno morale del resto del mondo: e in ciò, Croce rileva una lezione di politica mal gestita, pur se motivata da presupposti intellettualmente nobili.
Al contrario, i politici inglesi e francesi – pur non filosofeggiando – si sono dimostrati più efficaci: sapendo mascherare i propri scopi (nel caso inglese) o infiorandoli con nobili ideali (nel caso francese), ottenendo così maggior successo. L'effetto, dice Croce, prova che la loro è stata buona politica. Il pensiero politico, in altri termini, non è l'arte della verità, ma della realtà: e la realtà, per essere governata, esige spesso il velo dell'apparenza.
🧭 In questo esempio, Croce distingue tra sapienza teorica e efficacia storica. L'errore della Germania weimariana non fu filosofico, ma politico: osando dire la verità dove era necessario agire con discrezione. La politica, come intuito da Machiavelli, è l'arte del possibile, non della confessione.
👉 Croce propone qui una riflessione densa di implicazioni storiche e teoriche, riferendosi alla Germania del primo dopoguerra, quella della Repubblica di Weimar.
È a questo contesto che allude quando parla di un popolo che, "per bocca dei suoi uomini di Stato", ha cercato di svelare gli arcana imperii, cioè di rendere trasparente e razionale il funzionamento dell'azione politica, spogliandola delle ipocrisie tradizionali e affidandosi a una logica quasi "scientifica" del potere.
Si tratta, in effetti, di un momento storico in cui, anche sotto l'influenza dell'idealismo tedesco e della fiducia nell'Ordnungsdenken (pensiero ordinatore), si tenta di rifondare l'azione politica su basi teoriche, con un'esposizione quasi sistematica delle proprie intenzioni e dei propri obiettivi, al fine di guadagnarsi la fiducia delle altre nazioni.
L'idealismo tedesco, con i suoi grandi pensatori come Hegel, aveva da tempo nutrito una profonda fiducia nella capacità della ragione e della teoria di guidare la storia e la società. Nel contesto post-bellico, gli intellettuali di Weimar cercarono di applicare questo approccio alla politica, vedendo nella democrazia parlamentare l'opportunità di rifondare lo Stato non sulla forza o sulla tradizione, ma su principi teorici, etici e razionali.
L'idea era di superare la vecchia Realpolitik bismarckiana, basata sulla forza e la dissimulazione, per abbracciare una politica basata sulla chiarezza, sulla responsabilità e sulla trasparenza.
L'Ordnungsdenken, che si sviluppò in particolare in ambito giuridico ed economico, puntava a creare un nuovo ordine sociale e politico basato su un sistema di regole chiare e razionali. Questa corrente di pensiero contribuì alla creazione di una Costituzione innovativa (la Costituzione di Weimar) che, pur con tutti i suoi limiti, cercava di dare un assetto democratico e organizzato al Paese, superando il disordine e la frammentazione ereditati dalla guerra.
L'espressione "svelare gli arcana imperii" si riferisce al tentativo, da parte della politica di Weimar, di eliminare i segreti e le manovre occulte tipiche della diplomazia tradizionale, portando alla luce i meccanismi del potere. In questo spirito, i leader tedeschi, guidati da una sincera volontà di mostrare al mondo le proprie intenzioni pacifiche e democratiche, esposero in modo quasi scientifico le loro posizioni e i loro obiettivi, illudendosi di ottenere la comprensione e il rispetto delle altre nazioni, in particolare delle potenze vincitrici.
Croce sottolinea come questo slancio verso la verità, seppur filosoficamente nobile, politicamente si riveli un errore, presupponendo erroneamente la buona fede altrui e ignorando la dura realtà della politica internazionale, ancora dominata dagli interessi singoli e dalla diffidenza reciproca.
Il mondo reagisce non con comprensione, ma con orrore morale; e il risultato è la sconfitta nella guerra diplomatica e culturale che segue al conflitto armato. Non è pertanto la politica tedesca in sé che Croce elogia – giudicandola invece "poco abile" – ma l'anelito teorico e il coraggio della verità che vi ha trovato spazio, pur dovendo constatare come i tempi non fossero maturi per un tale grado di trasparenza filosofica nell'agire politico.
📌 Nelle brevi pagine esaminate sopra, il filosofo napoletano sviluppa una riflessione alta e drammatica su una delle più grandi contraddizioni moderne: il desiderio di moralizzare la politica senza comprenderne la natura.
Con straordinaria chiarezza e rigore logico, mostra che l'arte politica non è una deviazione dalla moralità, ma una forma distinta della stessa: legata all'azione, al conflitto, alla responsabilità storica. Come Machiavelli, egli non giustifica la crudeltà o la frode, ma rivendica il diritto della politica a essere compresa nei suoi termini reali, non morali.
Croce ci sottrae, così, al catechismo dell'innocuo e alla retorica del disgusto, riconsegnando la politica alla sua serietà tragica: nessun taumaturgo, nessun areopago di anime belle – solo uomini politici all'altezza del compito. Il suo linguaggio, denso e sobrio, si fa qui strumento di verità scomode, che richiedono coraggio intellettuale per essere ascoltate e assimilate.
Alla fine, il suo ammonimento è chiaro: la vera etica politica non si rifugia nell'utopia, ma opera nella storia, tra gli uomini, nella consapevolezza di limiti e necessità all'interno dei quali esperire la sua alta funzione.