Leggere un libro non è un atto naturale. Non lo è mai stato. È un gesto controcorrente, una ribellione silenziosa contro il rumore del mondo, una sfida lanciata al tempo che scorre inesorabile. Eppure, proprio in questa innaturalezza risiede il suo potere.
Leggere significa fermarsi, ascoltare, scavare. Significa accogliere un'altra voce dentro di sé, prestare il proprio pensiero a parole che non sono nostre e farle vivere.
Harold Bloom, nel suo saggio Come si legge un libro (How to Read and Why, 2000), non offre un metodo semplicistico, ma un richiamo alla vita interiore, un invito urgente a riconoscere ciò che ci rende umani: la capacità di dialogare con i grandi spiriti del passato e del presente.
Viviamo in un'epoca che soffoca l'attenzione, dove ogni gesto è ridotto a un clic e ogni esperienza si consuma in pochi attimi fugaci. In questo contesto, leggere è diventato un atto rivoluzionario. Non un passatempo, ma una necessità.
Epperò, non tutti i libri sono uguali e non tutte le letture hanno lo stesso valore. Esiste una differenza profonda tra "leggere per passatempo" e "leggere per comprendere". Bloom insiste su questo punto: leggere davvero significa entrare in contatto con ciò che ci trascende, affrontare le grandi domande, immergerci nelle profondità della condizione umana.
Ma come si impara a leggere in questo modo? E, soprattutto, perché dovremmo farlo? Le risposte, spesso, non vengono solo dai critici letterari, ma dagli stessi autori. Chi meglio di loro - che hanno dedicato la vita a trasformare la parola in arte - può mostrarci cosa significa leggere e perché vale la pena farlo? Dante, Proust, Kafka, Woolf, Calvino: ciascuno di loro ha lasciato, tra le righe delle proprie opere, un insegnamento sulla lettura. Non un manuale, ma una visione. Un modo per riscoprire il piacere della parola scritta.
Il saggio di Bloom non è una guida sterile o un insieme di regole su come sfogliare un libro. È piuttosto l'invito ad un viaggio, ad un percorso di riflessione che si snoda tra le voci dei grandi autori della letteratura mondiale. Perché leggere non è solo un modo per conoscere il mondo: è un modo per conoscere noi stessi.
Al termine di questo viaggio, intende l'autore, non saremo semplicemente dei lettori più consapevoli; forse saremo qualcosa di più: degli esseri umani che hanno scoperto la straordinaria capacità di dare un senso al caos attraverso le parole.
Perché, in fondo, la lettura è proprio questo: un atto di fede nella capacità della letteratura di dare un senso, di rivelarci chi siamo. E allora, come si legge un libro? E, soprattutto, perché? Scopriamolo insieme.
La domanda non è scontata: come si legge un libro? Perché leggere non si riduce al semplice decifrare segni su una pagina. È un'attività complessa, che coinvolge intelletto, emozione, memoria, immaginazione. È un'arte che va affinata, un dialogo che richiede ascolto e attenzione.
In un'epoca di distrazioni incessanti quale la nostra, leggere è diventato un atto sempre più raro e superficiale. Si legge per intrattenimento, per riempire un momento vuoto, per accumulare dati. Ma cosa accade quando ci fermiamo e leggiamo per davvero? Quando smettiamo di divorare pagine e iniziamo a lasciarci divorare dalle parole?
Harold Bloom - critico letterario tra i più influenti del Novecento - ha affrontato questa domanda con la lucidità di chi conosce i libri dall'interno, come organismi viventi, come mondi da esplorare. Il suo saggio non è un semplice manuale, ma una riflessione profonda sulla natura della lettura e sul suo significato esistenziale.
In un momento storico in cui la letteratura sembrava ridotta a strumento di propaganda o a semplice intrattenimento, Bloom ha difeso con fermezza il valore della lettura individuale, libera, profondamente personale.
Nel suo libro, parte da una constatazione fondamentale: la lettura è un atto solitario, ma indispensabile, per comprendere se stessi e il mondo. Non si legge per essere migliori cittadini, né per diventare più colti nel senso convenzionale del termine. Si legge, dice Bloom, per vivere. Per "scoprire chi siamo e per diventare chi siamo".
È un'affermazione forte, che sposta il discorso sul piano dell'introspezione e della crescita personale.
In effetti, i piaceri della lettura sono più egoistici che sociali. Leggendo meglio o con maggiore profondità non si apporta alcun miglioramento diretto alla vita altrui. Continuo a essere scettico sulla tradizionale speranza sociale secondo la quale la solidarietà può ricevere impulso dallo sviluppo dell'immaginazione individuale, e diffido delle argomentazioni che correlano i piaceri della lettura solitaria al bene pubblico.
Harold Bloom, nel proporre un rinnovamento del modo di leggere, pone come primo principio la necessità di liberare la mente dal gergo, un invito a respingere il linguaggio stereotipato e codificato che limita la comprensione e la profondità dell'esperienza letteraria. Questo principio non è solo una critica al linguaggio accademico e settario, ma una difesa della letteratura come spazio di libertà intellettuale, capace di sfuggire ai vincoli ideologici.
Per Bloom, il "gergo" è un linguaggio appesantito da formule rigide e ripetitive, tipico di molte conventicole accademiche e culturali. Non si tratta semplicemente di terminologia specialistica, che può essere necessaria in certi contesti, ma di un uso del linguaggio che:
Poiché le università sono governate da conventicole che agitano i vessilli del «multiculturalismo» o di «gender e sessualità», l'ammonimento di Johnson si trasforma in «Liberare la mente dal gergo accademico». Una cultura universitaria in cui l'analisi della biancheria femminile vittoriana sostituisce il confronto con Charles Dickens o Robert Browning...
Bloom punta il dito contro il predominio di scuole critiche che, secondo lui, hanno trasformato le università in luoghi in cui la letteratura viene letta attraverso lenti ideologiche soffocanti, determinando:
"Liberare la mente dal gergo" significa perciò tornare a leggere i testi con uno spirito aperto e senza pregiudizi ideologici, restituendo importanza al linguaggio letterario autentico. I grandi autori non hanno bisogno di essere difesi o giustificati: le loro opere parlano da sole, trascendendo le categorie ristrette del loro tempo. Pertanto, occorre puntare su:
Un esempio concreto di "lettura senza gergo" è il caso di Charles Dickens, autore che Bloom ritiene fondamentale per comprendere la condizione umana. Letture ideologiche che riducono il romanziere britannico a un semplice critico delle ingiustizie sociali dell'epoca vittoriana ne impoveriscono il significato. Leggere Dickens vuol dire, invece, entrare nei suoi mondi pieni di vitalità, ironia e complessità morale, senza confinare la sua opera a una funzione unidimensionale.
"Liberare la mente dal gergo" significa riconoscere la letteratura come un'esperienza intima, complessa e universale. Bloom ci invita a riappropriarci del nostro diritto di leggere per scoprire la verità e la bellezza dei testi, senza intermediazioni ideologiche che ne limitino il potenziale.
Questo principio, pur essendo un attacco alle derive accademiche, è anche un'esortazione per i lettori comuni: tornare ai libri per ciò che essi sono, per lasciare che ci sorprendano e ci trasformino. La vera lettura non è mai una prigione di idee, ma un viaggio verso la libertà del pensiero.
Nel secondo principio del suo programma di rinnovamento della lettura, Harold Bloom invita a riflettere sull'intenzione con cui ci si accosta ai libri e sull'uso che se ne fa nei rapporti con gli altri. La sua è una difesa appassionata della lettura come atto intimo e personale, svincolato da finalità esterne o dall'idea di influenzare chi ci circonda.
Questo principio è un richiamo a preservare l'autenticità dell'esperienza di lettura e a diffidare di approcci che la subordinano a obiettivi didattici, ideologici o morali.
Secondo Bloom, la lettura dovrebbe essere vissuta come un viaggio interiore, una esperienza individuale dedicata esclusivamente al miglioramento di sé, non come uno strumento per cambiare gli altri. Egli ritiene che il semplice atto di confrontarsi con grandi opere letterarie sia già abbastanza impegnativo e trasformativo da non richiedere ulteriori scopi.
Il miglioramento di sé è un obiettivo già abbastanza arduo per la mente e lo spirito: non esiste un'etica della lettura. È bene tenere a freno la mente finché la sua ignoranza originaria è stata purgata; le divagazioni premature nell'attivismo hanno il loro fascino, ma richiedono tempo, e non ci sarà mai abbastanza tempo per leggere.
Leggere non è un atto di altruismo o una forma di proselitismo, bensì un atto di riflessione personale, un dialogo intimo tra il lettore e il testo, che ha il potenziale di rinnovare la mente e lo spirito di chi legge.
Tentare di "migliorare" gli altri attraverso la propria lettura rischia di trasformare i libri in strumenti di predica morale o ideologica, riducendo la letteratura a un veicolo per messaggi prefissati.
Per Bloom, non esiste un'etica della lettura: leggere non ha obblighi morali verso il mondo esterno, ma è un'attività che trova il suo valore nella crescita personale.
Questa posizione si oppone a qualsiasi tentativo di utilizzare la letteratura come arma per l'attivismo sociale o come strumento di educazione etica.
L'autore, pur riconoscendo l'importanza del miglioramento del mondo, insiste sul fatto che tale miglioramento non debba passare attraverso un'interpretazione strumentale della lettura.
La priorità del lettore è comprendere e migliorare la propria mente. L'ignoranza originaria - che Bloom identifica come una mancanza di profondità critica e di apertura intellettuale - deve essere affrontata e superata prima di tentare di influenzare chiunque altro.
La vita è breve e il tempo per leggere non è infinito. Deviare verso obiettivi esterni rischia di distogliere dall'esperienza profonda e personale che ogni libro può offrire.
L'idea che la lettura debba immediatamente tradursi in azioni o comportamenti rivolti a cambiare il mondo è una "divagazione prematura nell'attivismo". Questo atteggiamento, spesso associato ad approcci accademici o ideologici, riduce la letteratura a uno strumento funzionale, sottraendole la capacità di parlare direttamente all'individuo.
La lettura non deve essere subordinata a un programma ideologico o a una causa sociale, in quanto essa è un fine piuttosto che un mezzo. La letteratura è un'arte che esiste per essere vissuta e interiorizzata, non per servire un'agenda politica o morale.
Molti grandi testi letterari non offrono soluzioni o risposte semplici, ma sollevano domande e contraddizioni. Leggere per "migliorare" gli altri rischia di tradire questa complessità, riducendo i testi a slogan o dogmi.
Al cuore di questo principio c'è un invito all'umiltà. La lettura, per Bloom, è una pratica che richiede dedizione, attenzione e riflessione costante. Prima di pensare di cambiare chi ci circonda o il mondo intero, il lettore deve:
Bloom porta spesso Shakespeare ad esempio di autore che resiste a qualsiasi tentativo di strumentalizzazione morale o ideologica. Le sue opere non offrono lezioni o soluzioni definitive, ma presentano personaggi e situazioni che sfidano il lettore a pensare e a comprendere la complessità dell'esistenza umana.
Tentare di "insegnare" Shakespeare agli altri come modello morale tradisce l'essenza delle sue opere, che parlano direttamente alla nostra interiorità, senza bisogno di interpretazioni dogmatiche.
Con questo principio, l'autore ci invita a riconsiderare il nostro rapporto con la lettura. Leggere bene significa prima di tutto leggere per se stessi, senza trasformare i libri in strumenti di miglioramento degli altri o del mondo.
La lettura non è una missione: è un viaggio personale, un atto di introspezione e di crescita che trova il suo significato nella relazione tra il lettore e il testo.
Leggete dunque seguendo la luce interiore celebrata da John Milton e presa a modello da Emerson, quella che può essere posta alla base della nostra terza regola: "Lo studioso è una candela accesa dall'amore e dal desiderio di tutta l'umanità". (...)
Non dovete temere che la libertà del vostro sviluppo di lettori sia egoistica, poiché, se diverrete veri lettori, la reazione alle vostre fatiche confermerà che siete un'illuminazione per gli altri.
Harold Bloom introduce qui la "terza regola" del rinnovamento della lettura, esortando i lettori a seguire la propria "luce interiore", un concetto celebrato da John Milton e preso a modello da Ralph Waldo Emerson. Bloom cita quest'ultimo, affermando: "Lo studioso è una candela accesa dall'amore e dal desiderio di tutta l'umanità".
Questa affermazione di Emerson sottolinea che il vero studioso non è un ricettore passivo di conoscenza, ma una fonte luminosa che irradia comprensione e saggezza, alimentata dall'amore per l'umanità e dal desiderio di contribuire al suo progresso. La "luce interiore" rappresenta l'ispirazione e la guida morale che orientano lo studioso nel suo percorso intellettuale e spirituale.
Emerson, nel suo discorso "The American Scholar" [Lo studioso americano], enfatizza l'importanza dell'autonomia intellettuale e dell'autoaffidamento. Egli incoraggia gli studiosi a fidarsi della propria intuizione e a non conformarsi passivamente alle opinioni prevalenti. La "luce interiore" diventa, quindi, simbolo dell'individualità e dell'originalità che ogni studioso dovrebbe coltivare.
In sintesi, la "terza regola" di Bloom invita i lettori a emulare l'approccio di Emerson, seguendo la propria luce interiore e diventando "candele" che, accese dall'amore e dal desiderio per l'umanità, illuminano il cammino della conoscenza e della comprensione.
E, prendendo ancora spunto dal celebre discorso del filosofo di Boston, quando afferma che i compiti dell'intellettuale possono essere riassunti tutti quanti nella "fiducia in se stessi", Bloom introduce il quarto principio della nuova lettura.
Qui, Bloom intende ribadire il ruolo attivo e creativo che il lettore deve assumere nel processo di lettura: non esercizio passivo, ma atto di interpretazione e immaginazione che richiede una partecipazione profonda e personale. Il lettore non deve limitarsi a ricevere il testo così com'è, ma deve reinventarlo, trasformarlo in un'esperienza che abbia significato per lui.
L'invenzione di cui parla Bloom non è un'invenzione arbitraria, ma un dialogo tra il testo e l'immaginazione del lettore. È nel processo di attribuire un senso personale al testo che il lettore diventa un "inventore".
Un esempio pratico può essere tratto dalla lettura di Shakespeare, che Bloom considera il paradigma della grande letteratura. Secondo lui, leggere bene Shakespeare significa entrare nei suoi personaggi, comprenderne le motivazioni profonde e risonare con la loro umanità. Questo richiede di "inventare" le proprie interpretazioni, immaginando i mondi interiori dei personaggi e confrontandoli con il proprio vissuto.
A distanza di quattro secoli, Shakespeare è più onnipresente che mai; le sue opere verranno messe in scena nello spazio e su altri mondi, se mai quei mondi verranno raggiunti. Shakespeare non è un complotto della cultura occidentale; contiene semplicemente tutti i principi della lettura... in sostanza è puro potere conoscitivo.
Si vuole riaffermare, qui, che Shakespeare non offre personaggi chiusi e definitivi, ma figure che vivono e si evolvono all'infinito attraverso l'interpretazione del lettore. Amleto, Falstaff, Re Lear e altri personaggi shakespeariani non sono soltanto costruzioni narrative, ma veri e propri "mondi" che si aprono a innumerevoli interpretazioni. Questa è la genialità di Shakespeare: la sua capacità di creare figure così umane e complesse che il lettore non può fare a meno di "inventarle" di nuovo ogni volta che le incontra.
Bloom sostiene infatti che, leggendo Shakespeare (e più in generale la grande letteratura), il lettore:
Poiché l'ideologia, nelle sue versioni più superficiali, riesce a distruggere la capacità di comprendere e apprezzare l'ironia, vorrei che il recupero dell'ironia fosse il nostro quinto principio per il rinnovamento della lettura.
Harold Bloom attribuisce un ruolo fondamentale all'ironia come strumento di profondità e chiave di volta per il rinnovamento della lettura. L'ironia, per lui, non è semplicemente una figura retorica, ma una modalità di pensiero e un approccio intellettuale che permette al lettore di esplorare le complessità del testo e, più in generale, della condizione umana.
Si pensi all'ironia sconfinata di Amleto, che, quando dice una cosa, ne intende quasi sempre un'altra, spesso l'esatto contrario di quanto afferma... la perdita dell'ironia equivale alla morte della lettura e di tutto ciò che la civiltà ha modificato nella nostra natura.
L'ironia, come capacità di "dire una cosa e intenderne un'altra, spesso il suo opposto", è creazione di spazio interpretativo più ampio. Questo spazio invita il lettore a riflettere, a dubitare e a cogliere le molteplici stratificazioni di significato che un testo può offrire.
Un esempio perfetto è Amleto di Shakespeare, che Bloom considera l'opera più ironica mai scritta. Amleto parla in modo ambiguo, e ogni sua affermazione lascia aperte molteplici interpretazioni, spesso in contrasto tra loro. L'ironia del personaggio non è una semplice strategia retorica, ma un modo di vivere e argomentare che riflette la complessità e le contraddizioni dell'esistenza (si pensi alla frase "Essere o non essere, questo è il dilemma": è ironica in sé, poiché Amleto non cerca una vera risposta, ma espone una riflessione sulla condizione umana che rimane aperta e ambigua).
Secondo Bloom, quando la lettura si svuota di ironia perde la sua vitalità. Senza ironia, i testi diventano piatti, rigidi, incapaci di stimolare la mente del lettore. Bloom collega questa perdita alla tendenza della società contemporanea a ricercare certezze assolute, a preferire interpretazioni univoche e ideologiche piuttosto che accettare la complessità e le contraddizioni. Questa rigidità mentale è, per lui, il nemico della vera lettura: spogliata dell'ironia, la lettura non può più sorprendere né sfidare il lettore.
L'ironia richiede un certo grado di attenzione e la capacità di accettare idee antitetiche, anche quando cozzano l'una contro l'altra. Spogliate la lettura dell'ironia ed essa perderà subito qualsiasi ordine e sorpresa... L'ironia vi libererà la mente dal gergo degli ideologi e vi permetterà di gettare luce, come l'intellettuale, candela dell'umanità.
L'ironia è una forza liberatoria, antidoto al dogmatismo. Permette al lettore di mantenere una distanza critica dalle ideologie e dai linguaggi imposti dalla società. Attraverso l'ironia, si sviluppa una mente capace di accogliere idee contraddittorie, di convivere con l'ambiguità e di esplorare la complessità senza cercare risposte semplicistiche.
Questa apertura mentale è fondamentale per la crescita personale e per il progresso intellettuale. In questo senso, l'ironia diventa una forma di emancipazione, una "candela dell'umanità" che illumina le zone d'ombra del pensiero e della cultura.
Per Bloom, l'ironia richiede uno sforzo intellettuale e un grado di attenzione che sono spesso assenti nella lettura contemporanea. Comprendere l'ironia implica:
In conclusione, Bloom non propone l'ironia come un esercizio puramente intellettuale, ma come una componente essenziale della lettura che restituisce alla letteratura il suo ruolo di strumento di scoperta e di liberazione. L'ironia, con la sua capacità di sfidare il pensiero rigido, riporta la lettura al suo scopo originario: illuminare la condizione umana in tutta la sua complessità e imprevedibilità.
Aprirsi a un confronto diretto con Shakespeare al suo massimo livello, per esempio in Re Lear, non rappresenta mai un piacere semplice, né da giovani né in età avanzata, ma non leggere la tragedia in maniera completa (cioè senza aspettative ideologiche) equivale a essere defraudati sotto il profilo estetico e conoscitivo.
E ancora:
Leggete in profondità, non per credere, non per accettare, non per contraddire, bensì per imparare a partecipare dell'unica natura che scrive e legge.
Un altro punto cardine del libro è la difesa dei classici. Bloom insiste sull'importanza di leggere le opere che hanno resistito al tempo, non perché rappresentino un canone imposto, ma perché contengono intuizioni universali sulla condizione umana.
Shakespeare, Dante, Cervantes, Tolstoj, Proust, Kafka: questi autori ci insegnano non solo a leggere meglio, ma anche a pensare e a vivere meglio. La loro grandezza non risiede nella complessità formale, ma nella profondità emotiva e intellettuale che riescono a trasmettere.
Bloom insiste sull'importanza di tornare ai classici perché essi rappresentano "il meglio che è stato pensato e detto". La loro longevità testimonia della loro capacità di toccare temi universali, di rispondere alle grandi domande della vita:
I classici non sono "imposti" da un'autorità esterna, ma sono sopravvissuti perché continuano a parlare ai lettori di ogni epoca.
Nel suo saggio Perché leggere i classici, Calvino offre una definizione immortale al riguardo: i classici sono quei libri che "non finiscono mai di dire ciò che hanno da dire". La lettura dei classici è un dialogo continuo, che evolve con il tempo e con l'esperienza del lettore.
Harold Bloom non era solo un critico letterario, ma un vero e proprio difensore della lettura come atto essenziale della vita umana.
In un mondo che incoraggia l'effimero, egli vede la lettura come un atto di resistenza contro la superficialità e la distrazione. Leggere grandi autori non significa rifugiarsi nel passato, ma confrontarsi con idee che sfidano il lettore a pensare criticamente. Questo atto diventa una forma di libertà intellettuale, un modo per sottrarsi all'omologazione.
Ma come si affrontano questi testi? Bloom suggerisce un approccio che combina lentezza, attenzione e introspezione. Leggere un grande libro non significa solo comprenderne la trama o ammirarne lo stile: significa immergersi in esso, sprofondare nelle sue parole, dialogare con i suoi personaggi e, infine, scoprire qualcosa di nuovo su di sé. Questo è il vero scopo della lettura: non il sapere, ma il sentire. Non l'accumulo di conoscenze, ma la trasformazione interiore.
E Bloom non si limita a teorizzare, ma sviluppa una serie incalzante di esempi concreti, analizzando opere di Shakespeare, Cervantes, Jane Austen, Emily Dickinson e di tanti altri. Ogni capitolo è un invito a esplorare una specifica dimensione della lettura: l'empatia, l'intelligenza emotiva, il confronto con il diverso. Ogni analisi è al tempo stesso un'illustrazione pratica di come leggere e un'argomentazione convincente sul perché leggere.
Se leggere è così impegnativo, perché farlo? Le risposte sono molteplici, ma tutte convergono su un punto: la lettura ci arricchisce in modi unici.
La domanda "perché leggere?" non è retorica, né banale. In un mondo che premia la velocità e il consumo istantaneo, dedicare ore alla lettura può sembrare un lusso o, peggio, una perdita di tempo. Eppure, chi legge sa che nessuna attività restituisce un eguale livello di arricchimento personale. La lettura è un atto che trascende l'utile, che ci rende più completi, più consapevoli, più umani.
Per comprendere fino in fondo il valore della lettura, è necessario esplorare i suoi molteplici benefici: cognitivi, emotivi, sociali ed esistenziali. Esaminiamone i diversi piani.
Viviamo in un mondo complesso, spesso caotico. La lettura offre un rifugio, ma non come fuga dalla realtà. Al contrario, leggere ci aiuta a dare senso al caos, a trovare una struttura, una narrazione che ordini le esperienze. I grandi libri non ci offrono soluzioni facili, ma sono una bussola che ci aiuta a navigare nell'incertezza con maggiore consapevolezza.
Kafka scrisse che un libro deve essere "l'ascia per il mare ghiacciato dentro di noi". Questa metafora potente suggerisce che leggere non è sempre facile o piacevole: è un viaggio verso l’ignoto, un confronto con ciò che non capiamo o che temiamo di affrontare.
Attraverso i libri, esploriamo non solo le storie degli altri, ma anche i nostri desideri, le nostre paure, le nostre contraddizioni. Ogni libro diventa uno specchio in cui possiamo riflettere la nostra umanità.
Non è un caso che molti trovino conforto nei libri nei momenti difficili. La letteratura ha un potere terapeutico: ci consola, ci ispira, ci offre parole quando non ne troviamo. La lettura è un atto intimo, quasi sacro, che ci permette di affrontare le sfide della vita con più forza e serenità.
Virginia Woolf, nel suo saggio Come leggere un libro, parla della lettura come di un "rapporto amoroso" tra il lettore e il testo. Questo rapporto non è mai identico da un libro all'altro, né da un lettore all'altro. È unico, irripetibile. Ogni libro che amiamo diventa una parte di noi.
In questo contesto, la lettura di libri diventa un atto rivoluzionario. Scegliere di leggere un libro significa opporsi alla dittatura del "tutto e subito", al dominio dell'effimero, alla tirannia dell'algoritmo. È un modo per ritrovare uno spazio di calma e profondità in un mondo sempre più frenetico.
Una delle lezioni più importanti è quella di prendersi tempo. La lentezza permette di assaporare le sfumature del testo, di riflettere sulle parole e di apprezzare la complessità.
La lentezza è un atto di resistenza contro la fretta e la superficialità che dominano la vita contemporanea. Leggere lentamente significa immergersi nel ritmo del testo, soffermarsi sulle sue sfumature e lasciare che le parole lavorino dentro di noi.
Bloom ci invita a considerare la lentezza come una forma di rispetto per il testo e per noi stessi. La lettura lenta è l'unico modo per cogliere la complessità delle grandi opere, che richiedono tempo per essere comprese e apprezzate.
Scrivere note a margine o su un taccuino, sottolineare passaggi significativi, creare connessioni tra testi: queste pratiche aiutano a interiorizzare meglio i contenuti e a trasformare la lettura in un dialogo attivo.
Non si tratta di atti meccanici, ma di un modo per entrare in dialogo con il testo. Annotare significa rendere personale l'esperienza di lettura.
Le note trasformano il libro in una mappa personale della nostra comprensione. Attraverso di esse, il testo diventa unico, arricchito dalle nostre intuizioni, dubbi e connessioni con altre opere o esperienze.
Prendere appunti consente di creare ponti tra testi diversi, stimolando una lettura più ricca. Annotare similitudini tra un personaggio di Dostoevskij e uno di Shakespeare può ad esempio aprire nuovi orizzonti interpretativi.
La rilettura è uno degli strumenti più potenti per approfondire il rapporto con un libro. La prima lettura è spesso guidata dalla curiosità per la trama, mentre la rilettura permette di soffermarsi sui dettagli, sulle sfumature e sui significati nascosti.
Bloom sottolinea il valore della rilettura. I grandi libri non si esauriscono mai in una sola lettura; ogni ritorno al testo svela nuovi significati, nuovi livelli di comprensione.
Vi è un piacere puro nella prima lettura di un grande romanzo, eppure credo che la rilettura sia un'esperienza diversa e più preziosa. Venite catapultati in prospettive che prima non avevate osservato, e le gioie della rilettura possono essere più varie e illuminanti rispetto a quelle del primo approccio. Sapete che cosa accadrà, ma il motivo e il modo in cui accadrà possono condurre a una nuova presa di coscienza. Forse, in certa misura, diventate quello che guardate, per la seconda volta.
Ogni rilettura di un grande libro è un'esperienza diversa, perché anche noi, come lettori, cambiamo. Conosciamo già la storia, ma ci accorgiamo di aspetti che prima ci erano sfuggiti. Questo processo ci permette di vivere il libro come un compagno di viaggio nella nostra evoluzione personale.
Rileggere Amleto di Shakespeare può rivelare nuove prospettive sul personaggio in base all'età o alle esperienze del lettore, trasformando ogni rilettura in un dialogo unico e irripetibile.
Come abbiamo visto, leggere con pregiudizi, aspettative rigide o agende ideologiche è uno degli errori più comuni e dannosi. L'atto della lettura richiede una ricettività assoluta, un'apertura che consenta al testo di sorprendere, sfidare e trasformare il lettore.
La paura e la condiscendenza sono nemiche della comprensione. Quando ci approcciamo a un'opera letteraria con la volontà di trovare conferme ai nostri preconcetti o di giudicarla attraverso una lente ideologica, rischiamo di ridurre la sua ricchezza e complessità.
Quando si legge anche l'opera letteraria più meravigliosa, sia essa la "Divina Commedia" di Dante o "Le ali della colomba" di Henry James, la paura e la condiscendenza possono distruggere la comprensione o il piacere del lettore. Forse, quando apriamo un libro, dobbiamo innanzitutto rilassare la nostra volontà di potenza. Quest'ultima può riemergere dopo che ci siamo immersi nella storia e abbiamo dato allo scrittore tutte le occasioni di impossessarsi della nostra attenzione. Esistono molti modi di leggere bene, ma tutti richiedono una grande ricettività.
Bloom ci invita a rilassare la "volontà di potenza" che spesso portiamo con noi nella lettura. La prima responsabilità di noi lettori è quella di lasciare che il libro "ci accada" prima di giudicarlo o interpretarlo.
Gli insegnamenti pratici di Harold Bloom non sono regole rigide, ma strumenti per rendere la lettura un'esperienza profonda, personale e trasformativa. Leggere lentamente, annotare, rileggere ed evitare pregiudizi non sono solo tecniche: sono modi per onorare la grande letteratura e per costruire un dialogo autentico con i testi che ci parlano dell'umano. La lettura, se affrontata con apertura e dedizione, può davvero trasformarci, non solo come lettori, ma come persone.
Nel complesso, Come si legge un libro è un manifesto appassionato per una lettura profonda, consapevole e trasformativa. È una difesa della letteratura in un'epoca che tende a svalutarne il valore, ma è anche una guida pratica per chi desidera avvicinarsi ai libri in modo nuovo. Leggere, per Bloom, non è solo un atto culturale: è una forma di resistenza contro la banalità, un antidoto contro la superficialità, una porta d'accesso alla profondità della vita.
"Leggiamo per scoprire chi siamo, e leggiamo per sapere che non siamo soli" (H.B.)